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Le netlabels sono solitamente non-profit, rilasciano musica attraverso le licenze Creative Commons e distribuiscono musica in free download. Queste peculiarità, seppur sembrano passate di moda, rappresentano ancora un punto di forza per i curatori di generi musicali di nicchia quali: Field recording, Drone, Glitch, Noise... generi che non nutrono di un particolare interesse, causa una scarsa educazione all'ascolto per via di un predominio dei generi cosidetti mainstream. Per cui, grazie ad internet, numerosi appassionati di questi generi hanno sfruttato il fenomeno della rete per rilasciare produzioni musicali che altrimenti sarebbero rimaste nel dimenticatoio.
I servizi di streaming come Spotify nascono non solo come rimedio alla pirateria, ma principalmente per sfruttare il mutamento del web verso la monetizzazione dei contenuti. Nel 2014 lo streaming ha avuto un notevole boom, specialmente da mobile da cui sono sorte nuove tipologie di utenze.
Questo servizio ha introdotto innumerevoli novità, ma come tutte le grandi innovazioni ci sono dei difetti. Essendo Spotify una piattaforma commerciale cozza su molti aspetti con l'operato di una netlabel. Già dal nome SPOTify dovrebbe essere chiaro che nella versione freemium l'ascolto di un album viene intervallato da passaggi pubblicitari. Esistono le versioni in abbonamento che oltre evitare la pubblicità offre servizi aggiuntivi. Parte degli introiti - che vengono ridistribuiti in royalities maturate a secondo degli andamenti di ascolto - vanno alle etichette, attraverso i distributori come ad esempio fa Believe Digital che trattiene una percentuale in base al contratto stipulato con l'etichetta. Questo sistema non è adatto agli ideali delle netlabels che rilasciano musica in Creative Commons, in quanto spesso viene scelta la clausola NC (NonCommercial) che porta il curatore di una netlabel ad una maggiore cautela in fase di scelta dei canali di distribuzione da adottare. Infatti le Netlabels non hanno alcun problema con lo streaming in quanto distribuiscono già su portali di streaming come ad esempio Soundcloud, Bandcamp ed addirittura Youtube che hanno come opzione di rilascio le licenze Creative Commons. Nel 2009 infatti Creative Commons ha condotto un'indagine per comprendere quale fosse il tipo d'interpretazione che gli utenti della rete davano al Noncommercial use. Questo ha portato all'evoluzione 4.0 delle licenze ma che non ha ancora risolto questo grande problema.
Dunque non è la pigrizia dei curatori delle netlabels il problema per cui la loro musica non è presente su Spotify, ma bensì una questione di diritto davvero delicata. Il curatore deve rispettare la scelta dell'artista di non favorire compensi direttamente o generare lucro da parte di terzi attraverso la propria musica.
In aggiunta a questo punto va sottolineato che, essendo solitamente quella delle netlabels una musica di "difficile" ascolto Spotify non è il canale favorito dagli artisti perché non idoneo al tipo di fruizione musicale che le netlabels hanno prediletto nel tempo, cioè un ascolto intimo e non distratto.
Molti sostengo che non essere su Spotify o Deezer è un suicidio e che le netlabels dovrebbero aggiornarsi e dovrebbero andare oltre i limiti che essi stessi si sono dati, ma la questione non si risolverebbe comunque facendo l'upload su Spotify, anzi sarebbe in un certo senso un ulteriore danno d'immagine perché significherebbe scendere a compromessi con logiche di mercato, snaturando gli ideali do-it-yourself ed entrando in un sistema dove è complicato emergere senza una dovuta promozione e piani di marketing consistenti.
Forse, è più giusto spostare l'attenzione verso una piaga culturale di una massa che vuole sempre e solo la comodità a scapito delle minoranze legittimamente intransigenti, evitando sforzi di comprendonio sulle posizioni inflessibili di altri operatori che non vogliono piegarsi al giocoforza majors.
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